Angelus Piazza San Pietro
12 febbraio 2012
“Lasciamoci toccare e purificare da Gesù
e usiamo misericordia verso i nostri fratelli”
Cari fratelli e sorelle!Domenica scorsa abbiamo visto che Gesù, nella sua vita pubblica, ha guarito molti malati, rivelando che Dio vuole per l’uomo la vita, la vita in pienezza. Il Vangelo di questa domenica (Mc 1,40-45) ci mostra Gesù a contatto con la forma di malattia considerata a quei tempi la più grave, tanto da rendere la persona “impura” e da escluderla dai rapporti sociali: parliamo della lebbra. Una speciale legislazione (cfr Lv 13-14) riservava ai sacerdoti il compito di dichiarare la persona lebbrosa, cioè impura; e ugualmente spettava al sacerdote constatarne la guarigione e riammettere il malato risanato alla vita normale. Mentre Gesù andava predicando per i villaggi della Galilea, un lebbroso gli si fece incontro e gli disse: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Gesù non sfugge al contatto con quell’uomo, anzi, spinto da intima partecipazione alla sua condizione, stende la mano e lo tocca – superando il divieto legale – e gli dice: “Lo voglio, sii purificato!”. In quel gesto e in quelle parole di Cristo c’è tutta la storia della salvezza, c’è incarnata la volontà di Dio di guarirci, di purificarci dal male che ci sfigura e che rovina le nostre relazioni. In quel contatto tra la mano di Gesù e il lebbroso viene abbattuta ogni barriera tra Dio e l’impurità umana, tra il Sacro e il suo opposto, non certo per negare il male e la sua forza negativa, ma per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, anche di quello più contagioso e orribile. Gesù ha preso su di sé le nostre infermità, si è fatto “lebbroso” perché noi fossimo purificati.
Uno splendido commento esistenziale a questo Vangelo è la celebre esperienza di san Francesco d’Assisi, che egli riassume all’inizio del suo Testamento: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (FF, 110). In quei lebbrosi, che Francesco incontrò quando era ancora “nei peccati” – come egli dice – era presente Gesù; e quando Francesco si avvicinò a uno di loro e, vincendo il proprio ribrezzo, lo abbracciò, Gesù lo guarì dalla sua lebbra, cioè dal suo orgoglio, e lo convertì all’amore di Dio. Ecco la vittoria di Cristo, che è la nostra guarigione profonda e la nostra risurrezione a vita nuova!
Cari amici, rivolgiamoci in preghiera alla Vergine Maria, che ieri abbiamo celebrato facendo memoria delle sue apparizioni a Lourdes. A santa Bernardetta la Madonna consegnò un messaggio sempre attuale: l’invito alla preghiera e alla penitenza. Attraverso sua Madre è sempre Gesù che ci viene incontro, per liberarci da ogni malattia del corpo e dell’anima. Lasciamoci toccare e purificare da Lui, e usiamo misericordia verso i nostri fratelli!
Angelus piazza San Pietro
8 dicembre 2010
“La Misericordia di Dio è più potente del male”
La grazia è più grande del peccato e la misericordia di Dio è più potente del male: lo ha ricordato Benedetto XVI all’Angelus, in piazza san Pietro, mercoledì 8 dicembre 2010, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”, dice l’Angelo Gabriele alla Vergine, rivelando “l’identità più profonda di Maria”, ha spiegato Benedetto XVI citando la Liturgia del giorno. L’espressione, “piena di grazia”, ovvero “da sempre ricolma dell’amore di Dio” ci offre la spiegazione del mistero dell’Immacolata Concezione, segno – ha aggiunto il Papa – di “una singolare predilezione da parte di Dio” verso Maria, prescelta nel suo disegno eterno “per essere madre” del “Figlio fatto uomo e, di conseguenza, preservata dal peccato originale”. Un mistero “fonte di luce interiore, di speranza e di conforto. “In mezzo alle prove della vita e specialmente alle contraddizioni che l’uomo sperimenta dentro di sé e intorno a sé, Maria, Madre di Cristo, ci dice che la Grazia è più grande del peccato, che la misericordia di Dio è più potente del male e sa trasformarlo in bene. Purtroppo ogni giorno noi facciamo esperienza del male, che si manifesta in molti modi nelle relazioni e negli avvenimenti, ma che ha la sua radice nel cuore dell’uomo, un cuore ferito, malato, e incapace di guarirsi da solo”. E se “all’origine di ogni male c’è la disobbedienza alla volontà di Dio” e “la morte ha preso dominio perché la libertà umana ha ceduto alla tentazione del Maligno”, “Dio non viene meno – ha rassicurato Benedetto XVI – al suo disegno d’amore e di vita: attraverso un lungo e paziente cammino di riconciliazione ha preparato l’alleanza nuova ed eterna, sigillata nel sangue del suo Figlio, che per offrire se stesso in espiazione è “nato da donna”. “Questa donna, la Vergine Maria, ha beneficiato in anticipo della morte redentrice del suo Figlio e fin dal concepimento è stata preservata dal contagio della colpa. Perciò – ha spiegato Benedetto XVI- con il suo cuore immacolato, Lei ci dice: affidatevi a Gesù, Lui vi salverà”.
Celebrazione dei vespri
nella Cattedrale di Aosta
24 luglio 2009
“Se manca Dio, manca la bussola”
Eccellenza,
cari fratelli e sorelle.
Vorrei innanzitutto dire «grazie» a lei, Eccellenza, per le sue buone parole, con le quali mi ha introdotto nella grande storia di questa Chiesa Cattedrale e così mi ha fatto sentire che preghiamo qui, non solo in questo momento, ma possiamo pregare con i secoli in questa bella chiesa.
E grazie a tutti voi che siete venuti per pregare con me e per rendere visibile così questa rete di preghiera che ci collega tutti e sempre.
In questa breve omelia vorrei dire qualche parola sull’orazione, con la quale si concludono questi Vespri, perché mi sembra che in questa orazione, il brano della Lettera ai Romani ora letto sia interpretato e trasformato in preghiera.
L’orazione si compone di due parti: un indirizzo – un’intestazione, per così dire – e poi la preghiera composta da due domande.
Cominciamo con l’indirizzo che ha, anche da parte sua, due parti: va qui un po’ concretizzato il «tu» al quale parliamo, per poter bussare con maggior forza al cuore di Dio.
Nel testo italiano, leggiamo semplicemente: «Padre misericordioso». Il testo originale latino è un po’ più ampio; dice «Dio onnipotente, misericordioso». Nella mia recente Enciclica, ho tentato di mostrare la priorità di Dio sia nella vita personale, sia nella vita della storia, della società, del mondo.
Certamente la relazione con Dio è una cosa profondamente personale e la persona è un essere in relazione, e se la relazione fondamentale – la relazione con Dio – non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la loro forma giusta. Ma questo vale anche per la società, per l’umanità come tale. Anche qui, se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente, manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare.
Dio! Dobbiamo di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presente. Ma Dio, come conoscerlo? Nelle visite «ad limina» parlo sempre con i Vescovi, soprattutto africani, ma anche quelli dell’Asia, dell’America Latina, dove ci sono ancora le religioni tradizionali, proprio di queste religioni. Ci sono molti dettagli, abbastanza diversi naturalmente, ma ci sono anche elementi comuni. Tutti sanno che c’è Dio, un solo Dio, che Dio è una parola al singolare, che gli dei non sono Dio, che c’è Dio, il Dio. Ma nello stesso tempo questo Dio sembra assente, molto lontano, non sembra entrare nella nostra vita quotidiana, si nasconde, non conosciamo il suo volto. E così la religione in gran parte si occupa delle cose, dei poteri più vicini, gli spiriti, gli antenati ecc., poiché Dio stesso è troppo lontano e così ci si deve arrangiare con questi poteri vicini. E l’atto della evangelizzazione consiste proprio nel fatto che il Dio lontano si avvicina, che il Dio non è più lontano, ma è vicino, che questo «conosciuto-sconosciuto» adesso si fa conoscere realmente, mostra il suo volto, si rivela: il velo sul volto scompare, e mostra realmente il suo volto. E perciò, poiché Dio stesso adesso è vicino, lo conosciamo, ci mostra il suo volto, entra nel nostro mondo. Non c’è più bisogno di arrangiarsi con questi altri poteri, perché Lui è il potere vero, è l’Onnipotente.
Non so perché abbiano omesso nel testo italiano la parola «onnipotente», ma vero è che ci sentiamo un po’ quasi minacciati dall’onnipotenza: sembra limitare la nostra libertà, sembra un peso troppo forte. Ma dobbiamo imparare che l’onnipotenza di Dio non è un potere arbitrario, perché Dio è il Bene, è la Verità, e perciò Dio può tutto, ma non può agire contro il bene, non può agire contro la verità, non può agire contro l’amore e contro la libertà, perché Egli stesso è il bene, è l’amore, e la vera libertà. E perciò tutto quanto egli fa non può mai essere in contrasto con verità, amore e libertà. E’ vero il contrario. Egli, Dio, è il custode della nostra libertà, dell’amore della verità. Questo occhio che ci vede non è un occhio cattivo che ci sorveglia, ma è la presenza di un amore che non ci abbandona mai e ci dona la certezza che il bene è essere, il bene è vivere: è l’occhio dell’amore che ci dà l’aria per vivere.
Dio onnipotente e misericordioso. Un’orazione romana, collegata con il testo del libro della Sapienza, dice: «Tu, Dio, mostri la tua onnipotenza nel perdono e nella misericordia». Il vertice della potenza di Dio è la misericordia, è il perdono. Nel nostro odierno concetto mondiale di potere, pensiamo a uno che ha grandi proprietà, che in economia ha qualcosa da dire, dispone di capitali, per influire nel mondo del mercato. Pensiamo a uno che dispone del potere militare, che può minacciare. La domanda di Stalin: «Quante divisioni ha il Papa?» ancora caratterizza l’idea media del potere. Ha potere chi può essere pericoloso, chi può minacciare, chi può distruggere, chi ha in mano tante cose del mondo. Ma la Rivelazione ci dice: «Non è così»; il vero potere è il potere di grazia, e di misericordia. Nella misericordia, Dio dimostra il vero potere.
E così la seconda parte di questo indirizzo dice: «Hai redento il mondo, con la passione, con il soffrire del tuo Figlio». Dio ha sofferto e nel Figlio soffre con noi. E questo è l’estremo apice del suo potere che è capace di soffrire con noi. Così dimostra il vero potere divino: voleva soffrire con noi, e per noi. Nelle nostre sofferenze non siamo mai lasciati soli. Dio, nel suo Figlio, prima ha sofferto ed è vicino a noi nelle nostre sofferenze.
Tuttavia rimane la questione difficile che adesso non posso interpretare ampiamente: perché era necessario soffrire per salvare il mondo? Era necessario perché nel mondo esiste un oceano di male, di ingiustizia, di odio, di violenza, e le tante vittime dell’odio e dell’ingiustizia hanno il diritto che sia fatta giustizia. Dio non può ignorare questo grido dei sofferenti che sono oppressi dall’ingiustizia. Perdonare non è ignorare, ma trasformare, cioè Dio deve entrare in questo mondo e opporre all’oceano dell’ingiustizia un oceano più grande del bene e dell’amore. E questo è l’avvenimento della Croce: da quel momento, contro l’oceano del male, esiste un fiume infinito e perciò sempre più grande di tutte le ingiustizie del mondo, un fiume di bontà, di verità, di amore. Così Dio perdona trasformando il mondo ed entrando nel nostro mondo perché ci sia realmente una forza, un fiume di bene più grande di tutto il male che può mai esistere.
Così l’indirizzo a Dio diventa un indirizzo a noi: cioè questo Dio ci invita a metterci dalla sua parte, ad uscire dall’oceano del male, dell’odio, della violenza, dell’egoismo e di identificarci, di entrare nel fiume del suo amore.
Proprio questo è il contenuto della prima parte della preghiera che segue: «Fa’ che la tua Chiesa si offra a te come sacrificio vivo e santo». Questa domanda, diretta a Dio, va anche a noi stessi. E’ un accenno a due testi della Lettera ai Romani; nel primo san Paolo dice che noi dobbiamo divenire un sacrificio vivo (cfr. 12,16). Noi stessi, con tutto il nostro essere, dobbiamo essere adorazione, sacrificio, restituire il nostro mondo a Dio e trasformare così il mondo. E nel secondo, dove Paolo descrive l’apostolato come sacerdozio (cfr. 15,16), la funzione del sacerdozio è consacrare il mondo perché diventi ostia vivente, perché il mondo diventi liturgia: che la liturgia non sia una cosa accanto alla realtà del mondo, ma che il mondo stesso diventi ostia vivente, diventi liturgia. E’ la grande visione che poi ha avuto anche Teilhard de Chardin: alla fine avremo una vera liturgia cosmica, dove il cosmo diventi ostia vivente. E preghiamo il Signore perché ci aiuti a essere sacerdoti in questo senso, per aiutare nella trasformazione del mondo, in adorazione di Dio, cominciando con noi stessi. Che la nostra vita parli di Dio, che la nostra vita sia realmente liturgia, annuncio di Dio, porta nella quale il Dio lontano diventa il Dio vicino, e realmente dono di noi stessi a Dio.
Poi la seconda domanda. Preghiamo «Fa’ che il tuo popolo sperimenti sempre la pienezza del tuo amore». Nel testo latino va detto «Saziaci con il tuo amore». Così il testo accenna al salmo che abbiamo cantato, dove si dice: «Apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente. Quanta fame esiste nella terra, fame di pane in tante parti del mondo: Sua Eccellenza ha parlato anche delle sofferenze delle famiglie qui: fame di giustizia, fame di amore. E con questa preghiera, preghiamo Dio: «Apri la tua mano e sazi realmente la fame di ogni vivente. Sazi la fame nostra della verità, del tuo amore».
Così sia. Amen
Dopo l’Angelus del 28 settembre 2008
Castel Gandolfo
Saluto con affetto i Polacchi venuti qui a Castel Gandolfo. In modo particolare rivolgo oggi il mio pensiero ai fedeli riuniti a Białystok, in Polonia, per la beatificazione del servo di Dio Michał Sopoćko, confessore e guida spirituale di santa Faustina Kowalska. Per suo suggerimento, la Santa descrisse le proprie esperienze mistiche e le apparizioni di Gesù Misericordioso nel ben noto suo “Diario”. Anche grazie ai suoi sforzi venne dipinta e trasmessa al mondo l’immagine con la scritta “Gesù, confido in Te”. Questo Servo di Dio si fece conoscere come zelante sacerdote, educatore e propagatore del culto della Divina Misericordia. Mi unisco alla gioia delle Diocesi di Białystok e di Vilnius e di quanti nel mondo hanno caro il messaggio di Gesù Misericordioso. Per questa beatificazione si rallegra, nella casa del Padre, il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II. È stato lui ad affidare il mondo alla Divina Misericordia e per questo ripeto a tutti il suo augurio: “Dio ricco di misericordia vi benedica!” (Aeroporto Kraków-Balice, 19 agosto 2002).]
ANGELUS
Palazzo Apostolico, Castel Gandolfo
Domenica, 16 settembre 2007
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, la liturgia ripropone alla nostra meditazione il capitolo 15° del Vangelo di Luca, una delle pagine più alte e commoventi di tutta la Sacra Scrittura. È bello pensare che nel mondo intero, dovunque la comunità cristiana si raduna per celebrare l’Eucaristia domenicale, risuona in questo giorno, questa Buona Notizia di verità e di salvezza: Dio è amore misericordioso. L’evangelista Luca ha raccolto in questo capitolo tre parabole sulla misericordia divina: le due più brevi, che ha in comune con Matteo e Marco, sono quelle della pecora smarrita e della moneta perduta; la terza, lunga, articolata e propria a lui solo, è la celebre parabola del Padre misericordioso, detta abitualmente del “figliol prodigo”. In questa pagina evangelica sembra quasi di sentire la voce di Gesù, che ci rivela il volto del Padre suo e Padre nostro. In fondo, per questo Egli è venuto nel mondo: per parlarci del Padre; per farlo conoscere a noi, figli smarriti, e risuscitare nei nostri cuori la gioia di appartenergli, la speranza di essere perdonati e restituiti alla nostra piena dignità, il desiderio di abitare per sempre nella sua casa, che è anche la nostra casa.
Le tre parabole della misericordia Gesù le raccontò perché i farisei e gli scribi parlavano male di Lui, vedendo che si lasciava avvicinare dai peccatori e addirittura mangiava con loro (cfr Lc 15, 1-3). Allora Egli spiegò, con il suo tipico linguaggio, che Dio non vuole che si perda nemmeno uno dei suoi figli e il suo animo trabocca di gioia quando un peccatore si converte. La vera religione consiste allora nell’entrare in sintonia con questo Cuore “ricco di misericordia”, che ci chiede di amare tutti, anche i lontani e i nemici, imitando il Padre celeste che rispetta la libertà di ciascuno ed attira tutti a sé con la forza invincibile della sua fedeltà. Questa è la strada che Gesù mostra a quanti vogliono essere suoi discepoli: “Non giudicate… non condannate… perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato… Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36-38). In queste parole troviamo indicazioni assai concrete per il nostro quotidiano comportamento di credenti.
Nel nostro tempo, l’umanità ha bisogno che sia proclamata e testimoniata con vigore la misericordia di Dio. Intuì quest’urgenza pastorale, in modo profetico, l’amato Giovanni Paolo II, che è stato un grande apostolo della divina Misericordia. Al Padre misericordioso dedicò la sua seconda Enciclica, e lungo tutto il suo pontificato si fece missionario dell’amore di Dio a tutte le genti. Dopo i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001, che oscurarono l’alba del terzo millennio, egli invitò i cristiani e gli uomini di buona volontà a credere che la Misericordia di Dio è più forte di ogni male, e che solo nella Croce di Cristo si trova la salvezza del mondo. La Vergine Maria, Madre di Misericordia, che ieri abbiamo contemplato Addolorata ai piedi della Croce, ci ottenga il dono di confidare sempre nell’amore di Dio e ci aiuti ad essere misericordiosi come il Padre nostro che è nei cieli.
Viaggio Apostolico
In Polonia
Saluto del Santo Padre
Incontro con i Malati
Kraków-Łagiewniki, 27 maggio 2006
Carissimi fratelli e sorelle,
sono lieto di potermi incontrare con voi in occasione della mia visita a questo Santuario della Divina Misericordia. Saluto di cuore tutti voi: i malati, gli assistenti, i sacerdoti che in questo santuario si dedicano alla pastorale, le suore della Beata Vergine Maria della Misericordia, i membri del “Faustinum” e tutti gli altri.
In questa circostanza stiamo davanti a due misteri: il mistero della sofferenza umana e il mistero della Divina Misericordia. Ad un primo sguardo questi due misteri sembrano contrapporsi. Ma quando cerchiamo di approfondirli alla luce della fede, vediamo che essi si pongono in reciproca armonia. Ciò grazie al mistero della croce di Cristo. Come ha detto qui Giovanni Paolo II, “la croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo… La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo” (17.08.2002). Voi, cari malati, segnati dalla sofferenza del corpo o dell’animo, siete i più uniti alla croce di Cristo, ma nello stesso tempo i più eloquenti testimoni della misericordia di Dio. Per vostro tramite e mediante la vostra sofferenza Egli si china sull’umanità con amore. Siete voi che, dicendo nel silenzio del cuore: “Gesù, in te confido”, ci insegnate che non c’è una fede più profonda, una speranza più viva e un amore più ardente della fede, della speranza e dell’amore di chi nello sconforto si mette nelle mani sicure di Dio. E le mani di coloro che vi aiutano nel nome della misericordia siano un prolungamento di queste grandi mani di Dio.
Vorrei tanto abbracciare ognuno e ognuna di voi. Anche se praticamente questo non è possibile, vi stringo al cuore nello spirito, e vi imparto la mia Benedizione, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
© Copyright 2006 – Libreria Editrice Vaticana
CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
REGINA CÆLI
Solennità della Divina Misericordia
II Domenica di Pasqua, 3 aprile 2005
Al termine della solenne Celebrazione Eucaristica in suffragio di Sua Santità Giovanni Paolo II, presieduta dall’Em.mo Card. Angelo Sodano, il Sostituto della Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Leonardo Sandri, prima della recita del Regina Cæli, dà lettura di un testo che il Santo Padre aveva precedentemente preparato in occasione della solennità della Divina Misericordia che si celebra la II Domenica di Pasqua.
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Risuona anche oggi il gioioso Alleluja della Pasqua. L’odierna pagina del Vangelo di Giovanni sottolinea che il Risorto, la sera di quel giorno, apparve agli Apostoli e “mostrò loro le mani e il costato” (Gv 20,20), cioè i segni della dolorosa passione impressi in modo indelebile sul suo corpo anche dopo la risurrezione. Quelle piaghe gloriose, che otto giorni dopo fece toccare all’incredulo Tommaso, rivelano la misericordia di Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).
Questo mistero di amore sta al centro dell’odierna liturgia della Domenica in Albis, dedicata al culto della Divina Misericordia.
2. All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e riapre l’animo alla speranza. E’ amore che converte i cuori e dona la pace. Quanto bisogno ha il mondo di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia!
Signore, che con la tua morte e risurrezione riveli l’amore del Padre, noi crediamo in Te e con fiducia ti ripetiamo quest’oggi: Gesù, confido in Te, abbi misericordia di noi e del mondo intero.
3. La solennità liturgica dell’Annunciazione, che celebreremo domani, ci spinge a contemplare con gli occhi di Maria l’immenso mistero di questo amore misericordioso che scaturisce dal Cuore di Cristo. Aiutati da Lei possiamo comprendere il senso vero della gioia pasquale, che si fonda su questa certezza: Colui che la Vergine ha portato nel suo grembo, che ha patito ed è morto per noi, è veramente risorto. Alleluia!
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 9 novembre 2005
1. È stato chiamato «Il grande Hallel», ossia la lode solenne e grandiosa che il giudaismo intonava durante la liturgia pasquale. Parliamo del Salmo 135, del quale abbiamo ora ascoltato la prima parte, secondo la divisione proposta dalla Liturgia dei Vespri (cfr vv. 1-9).
Fermiamoci innanzitutto sul ritornello: «Eterna è la sua misericordia». Al centro della frase risuona la parola «misericordia» che, in realtà, è una traduzione legittima, ma limitata, del vocabolo originario ebraico hesed. Questo, infatti, fa parte del linguaggio caratteristico usato dalla Bibbia per esprimere l’alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo. Il termine cerca di definire gli atteggiamenti che si stabiliscono all’interno di questa relazione: la fedeltà, la lealtà, l’amore ed evidentemente la misericordia di Dio.
Abbiamo qui la raffigurazione sintetica del legame profondo e interpersonale instaurato dal Creatore con la sua creatura. All’interno di tale rapporto, Dio non appare nella Bibbia come un Signore impassibile e implacabile, né un essere oscuro e indecifrabile, simile al fato, contro la cui forza misteriosa è inutile lottare. Egli si manifesta invece come una persona che ama le sue creature, veglia su di esse, le segue nel cammino della storia e soffre per le infedeltà che spesso il popolo oppone al suo hesed, al suo amore misericordioso e paterno.
2. Il primo segno visibile di questa carità divina – dice il Salmista – è da cercare nel creato. Poi sarà di scena la storia. Lo sguardo, colmo di ammirazione e di stupore, si sofferma innanzitutto sulla creazione: i cieli, la terra, le acque, il sole, la luna e le stelle.
Prima ancora di scoprire il Dio che si rivela nella storia di un popolo, c’è una rivelazione cosmica, aperta a tutti, offerta all’intera umanità dall’unico Creatore, «Dio degli dei» e «Signore dei signori» (cfr vv. 2-3).
Come aveva cantato il Salmo 18, «i cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia» (vv. 2-3). Esiste, dunque, un messaggio divino, segretamente inciso nel creato e segno del hesed, della fedeltà amorosa di Dio che dona alle sue creature l’essere e la vita, l’acqua e il cibo, la luce e il tempo.
Bisogna avere occhi limpidi per contemplare questo svelamento divino, ricordando il monito del Libro della Sapienza, che ci invita a «conoscere dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia l’Autore» (Sap 13,5; cfr Rm 1,20). La lode orante sboccia allora dalla contemplazione delle «meraviglie» di Dio (cfr Sal 135,4), dispiegate nel creato e si trasforma in gioioso inno di lode e di ringraziamento al Signore.
3. Dalle opere create si ascende, dunque, alla grandezza di Dio, alla sua amorosa misericordia. È ciò che ci insegnano i Padri della Chiesa, nella cui voce risuona la costante Tradizione cristiana.
Così, san Basilio Magno in una delle pagine iniziali della sua prima omelia sull’Esamerone, in cui commenta il racconto della creazione secondo il capitolo primo della Genesi, si sofferma a considerare l’azione sapiente di Dio, ed approda a riconoscere nella bontà divina il centro propulsore della creazione. Ecco alcune espressioni tratte dalla lunga riflessione del santo Vescovo di Cesarea di Cappadocia:
«”In principio Dio creò il cielo e la terra”. La mia parola si arrende sopraffatta dallo stupore di questo pensiero» (1,2,1: Sulla Genesi [Omelie sull’Esamerone], Milano 1990, pp. 9.11). Infatti, anche se alcuni, «tratti in inganno dall’ateismo che portavano dentro di sé, immaginarono l’universo privo di guida e di ordine, come in balìa del caso», lo scrittore sacro invece «ci ha subito rischiarato la mente col nome di Dio all’inizio del racconto, dicendo: “In principio Dio creò”. E quale bellezza in questo ordine!» (1,2,4: ibidem, p. 11). «Se dunque il mondo ha un principio ed è stato creato, cerca chi gli ha dato inizio e chi ne è il Creatore… Mosè ti ha prevenuto col suo insegnamento imprimendo nelle nostre anime quale sigillo e filatterio il santissimo nome di Dio, quando dice: “In principio Dio creò”. La natura beata, la bontà esente da invidia, colui che è oggetto d’amore da parte di tutti gli esseri ragionevoli, la bellezza più d’ogni altra desiderabile, il principio degli esseri, la sorgente della vita, la luce intellettiva, la sapienza inaccessibile, Egli insomma, “in principio creò il cielo e la terra”» (1,2,6-7: ibidem, p. 13).
Trovo che le parole di questo Padre del IV secolo siano di un’attualità sorprendente quando dice: “Alcuni, tratti in inganno dall’ateismo che portavano dentro di sé, immaginarono un universo privo di guida e di ordine, come in balìa del caso”. Quanti sono questi “alcuni” oggi. Essi, tratti in inganno dall’ateismo, ritengono e cercano di dimostrare che è scientifico pensare che tutto sia privo di guida e di ordine, come in balìa del caso. Il Signore con la Sacra Scrittura risveglia la ragione che dorme e ci dice: all’inizio è la Parola creatrice. All’inizio la Parola creatrice – questa Parola che ha creato tutto, che ha creato questo progetto intelligente che è il cosmo – è anche amore.
Lasciamoci, quindi, risvegliare da questa Parola di Dio; preghiamo che essa rischiari anche la nostra mente, perché possiamo percepire il messaggio del creato – inscritto anche nel nostro cuore -, che il principio di tutto è la Sapienza creatrice, e questa Sapienza è amore, è bontà: “La sua misercordia rimane in eterno”.